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L’insediamento di Gudo Visconti ha origini antiche.Il nome stesso Gudo è toponimo noto in area milanese (si prenda ad esempio l’omonimo Gudo Gamberedo) e rimanda ad una radice etnica GUD – GOD – GUID che si ritrova con una certa frequenza in area lombarda e in genere nell’Italia settentrionale (Guidizzolo, Goito…). E’ molto probabilmente da porre in relazione con la presenza di presidi militari ostrogoti in un periodo che va dalla fine del V secolo a tutta la prima metà del VI secolo d.C..

Per contro non sono noti ritrovamenti archeologici in grado di suffragare ipotesi più circostanziate. Per quanto riguarda il periodo alto e basso medioevale si conoscono documenti che attestano l’esistenza del borgo nel IX secolo: a quest’epoca l’abate di S. Ambrogio in Milano risulta possessore di alcuni terreni nel territorio di Gudo, successivamente ceduti al Monastero di S. Vittore di Meda. Documenti del X secolo riferiscono inoltre che Gudo venne infeudato dal conte Gisalberto di Bergamo, vassallo di Ottone I. Da altre fonti posteriori al Mille si apprende che la famiglia dei De Besate, signori della corte regia di Basiano, vendono agli Avogadri alcune terre situate a Gudo, allora detto anche “Antibiago”. Dagli Avogadri il feudo sembra passare per eredità ai Visconti, che impongono il nome del casato al paese: nel XV secolo, alla morte di Bartolomeo Visconti, i beni di questa famiglia passano in parte a Bartolomeo e Franchino Rusca, come è attestato dal Diploma di Ludovico Maria Sforza del 22 dicembre 1498, in parte all’Arcivescovo Giovanni Visconti e ai Capitolo di Milano. Nel 1626, alla morte dell’ultimo discendente della famiglia Rusca, il feudo di Gudo Visconti passa alla Regia Camera, per essere poi assegnato, nel 1650, a Giulio Lucini. Nella seconda metà del Settecento i discendenti di questa famiglia figurano ancora tra i maggiori possessori di beni immobili nel Comune.

Una prima vaga descrizione dell’assetto urbano di Gudo Visconti si può intravedere, con molta approssimazione, in documenti grafici del XV e del XVI secolo. In particolare una carta – probabilmente cinquecentesca – rappresenta i due poli che dovettero segnare lo sviluppo del paese attorno allo spazio oggi oggetto del progetto di riqualificazione: la Chiesa ed il Castello. Su questi due elementi e sulla brera su cui prospettano ruotano la vita e l’espansione del piccolo centro. La chiesa porta la dedicazione ai Santi Quirico e Giulitta, e sappiamo che nella seconda metà del Seicento vi vennero trasportate le reliquie di S. Costantino, per opera di Carlo Passarini, al quale si deve anche l’erezione della Cappella dedicata al santo.

Il disegno della facciata, rifacimento di una struttura precedente, veniva attribuito a Pellegrino Pellegrini, come risulta dagli atti della visita pastorale effettuata dal Cardinale Pozzobonelli nel 1750. Nonostante la consonanza tipologica con una miriade di altri esempi, non è stata trovata traccia dell’esistenza di una croce stazionale nei secoli passati: perde forse consistenza l’ipotesi che riconoscerebbe nella colonna crocifera attualmente impiegata come monumento ai caduti una delle “croci di strada” erette per volontà di San Carlo e curate dalla Compagnia della Santa Croce.

La vicenda urbana del Castello è invece più complessa, e rappresenta un settore passibile di notevoli approfondimenti. La struttura sembra risalire al XIV – XV secolo. Nella mappa cinquecentesca precedentemente ricordata, l’edificio fortificato ivi rappresentato ha un impianto quadrangolare, con quattro torrioni agli angoli e un fossato che cinge le mura e in questo rispecchia alcune più note fortificazioni viscontee, per altro numerose nella zona a Sud di Milano. Tuttavia non è possibile aggiungere elementi probanti a questa vaga descrizione fino al Settecento, quando dalle mappe catastali di Carlo VI è possibile evincere la forma quadrangolare dell’impianto unicamente dalla disposizione dei lotti di proprietà. Per il resto il complesso sembra già essere stato pesantemente mutilato delle strutture fortificate (se pur ve ne furono, ma in periodo più tardi viene ancora ricordata una “torre”). Sappiamo inoltre che il “sito del Castello”, verso la metà del Seicento, viene acquisito dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, che lo adibisce a residenza del proprio Agente, legale rappresentante nel territorio. All’inizio dell’Ottocento (1809) il Castello viene venduto, insieme ad altri possedimenti, ad un Gottardo Calvi.

In questa occasione vengono redatte interessanti descrizioni degli ambienti; da quella datata 24-3-1809, allegata all’atto di vendita, risulta comunque difficile un confronto con lo stato attuale, viste le numerose successive modifiche e demolizioni. Un confronto con dati precedenti, da reperire nel corso di un approfondimento della ricerca in fondi d’archivio appena saggiati, potrebbe fornire ulteriori elementi, data la posizione e l’importanza dei proprietari (in primis i Visconti e la Fabbrica del Duomo di Milano). Particolarmente curiosa è poi la vicenda del corpo di fabbrica situato al centro del complesso: da immagini fotografiche precedenti al 1970 appare come un edificio di pianta rettangolare caratterizzato da eleganti finestre archiacute dalle decorazioni in cotto e da camini sporgenti, che ad alcuni studiosi hanno richiamato alla memoria la Bicocca degli Arcimboldi. Si tratta probabilmente di una parte quattrocentesca del castello, data per demolita dopo l’intervento realizzato in anni recentissimi. 

Sembra invece che i proprietari non si siano peritati di praticare una demolizione integrale, ma si siano limitati a modificare i livelli d’uso e la forma delle aperture. Sotto gli intonaci moderni sopravviverebbe (in parte è ben visibile attraverso i distacchi della malta) parte della struttura originaria. Un’indagine termovisiva potrebbe avvalorare o smentire questa affermazione, posta unicamente come ipotesi di lavoro. Nella mappa catastale della metà del Settecento l’assetto del piccolo centro appare definito secondo linee destinate a mutare solo parzialmente. Il centro abitato si sviluppa lungo la tortuosa e stretta strada che da Ozzero porta a Vigano, subito dopo l’incrocio con la via che da Zelo conduce a Rosate: piuttosto isolato, quindi, rispetto alle principali vie di comunicazione (Milano-Abbiategrasso; Milano-Pavia. Al di là dell’apparente declinazione della posizione, il territorio è ricco d’acqua, grazie alla fitta rete di canali che si dipartono dal Naviglio Grande, favorevolissimo all’attività agricola, in particolare alla coltivazione del riso e del frumento, che ancora oggi caratterizza il paesaggio di questa zona. Dalle mappe del catasto teresiano emerge l’importanza della località denominata Gudetto, un nucleo di case che si sviluppa a Nord – Est del paese, lungo una strada che si diparte da quella che porta a Vigano e che termina addirittura in una pubblica piazza (C sito di piazza). Gudetto è però destinato a perdere progressivamente la rilevanza che aveva nel XVIII secolo e a diventare una propaggine del centro gemello, decentrata rispetto alle attività municipali e commerciali del comune.

L’assetto del centro di Gudo è già, nelle linee principali, quello odierno: sul largo spazio centrale si affacciano la chiesa, il castello (257-258) e alcune case da massaro. Le strade, come oggidì, disegna un percorso sinuoso passando di fronte al Castello. Presso il bivio per Gudetto è presente la cappelletta dedicata a San Rocco. Intorno, campi e prati irrigati (“aratorio adacquatorio” e “prato adacquatorio”) e qualche “zerbido cespugliato”. Al di là del cavo San Rocco, verso Vigano, le “risare“. Nella zona centrale di Gudo, intorno alla piazza, oltre al Castello (che le dà idealmente il nome, giacché il grande spazio è privo di un’unitaria denominazione toponomastica) ed alla chiesa, vi erano, come accennato, alcune case d’affitto per piggionanti: tra i proprietari di queste ricorre molto spesso il nome del Conte Lucini. La piazza consisteva in un ampio spazio quadrangolare, con al centro prati ed orti: la casa corrispondente al n. 265, nella mappa del catasto teresiano, veniva a chiudere sul lato meridionale questa area. Questa configurazione muta solo parzialmente nel corso del XIX secolo. Le mappe catastali redatte alla metà e alla fine del secolo ripropongono l’assetto noto. Vengono però ridefinite le vie di comunicazione: le strade principali sono allargate, mentre quelle rurali finiscono per perdere importanza. Questa ridefinizione della rete viaria, della quale si ritrovano documenti nell’archivio storico civico, ha come conseguenza la perimetrazione netta e definitiva, fra quattro strade, del quadrilatero di terreno posto al centro del nucleo abitato.

Con gli interventi eseguiti dalla fine del secolo scorso vengono inseriti nell’area centrale nuovi edifici, tuttora esistenti. che hanno modificato l’immagine della piazza, oggi a fatica percepibile come spazio unitario: nel periodo 1888-1891 viene realizzato il nuovo edificio per le scuole elementari (attualmente destinato a sede del Municipio); al 1925 risale la creazione del parco delle Rimembranze, mentre nel 1939 viene redatto un progetto, solo parzialmente realizzato, per la Casa della Gioventù italiana del littorio (divenne poi scuola materna ed oggi biblioteca, archivio e locali per associazioni gudesi). Di questi progetti documenti rimangono tavole di progetto e una ricca documentazione presso l’archivio del Comune di Gudo Visconti. La storia più recente vede invece un parziale diradamento del tessuto storico del centro, al quale fa da contraltare un’espansione indifferenziata di residenza a carattere uni-bifamiliare nelle zone di contorno. La piazza è ancora il centro del paese, ma la portata distruttiva o straniante di alcune ristrutturazioni (Castello), la rinuncia e l’eliminazione sistematica dei caratteri costruttivi e dei materiali tradizionali lasciano spazio ad un impoverimento graduale del tessuto, del verde e dell’arredo urbano, che, pur improntati ad un’estrema semplicità, hanno caratterizzato per secoli il piccolo centro.

Nel 1564 è menzionata nel Liber seminarii; la chiesa fu riedificata tra la fine Cinquecento e la prima metà del Seicento, dopo la visita del 1573 dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo.

Dalla relazione della visita pastorale del 1750 dell’arcivescovo Giuseppe Pozzobonelli si apprende che la nella parrocchiale dei Santi Quirico e Giulitta avevano sede le due confraternite della Beata Maria Vergine del Santissimo Rosario e del Santissimo Sacramento e che i fedeli ammontavano 390; nel 1779 questi ultimi risultavano saliti a 425, come si legge nella Nota parrocchie Stato di Milano redatta nel 1781.

Nel 1898 l’arcivescovo Andrea Carlo Ferrari, compiendo la sua visita pastorale, trovò che la chiesa era sede della sola confraternita del Santissimo Sacramento; nel 1972, con la riorganizzazione territoriale dell’arcidiocesi voluta dal cardinale Giovanni Colombo, la parrocchia passò dal vicariato foraneo di Rosate, contestualmente soppresso, al decanato di Abbiategrasso.